fasi dello sviluppo
esito di lesioni selettive
livello di eccellenza nello svolgimento di quella determinata funzione
Questi metodi hanno significato il prevalere dell’ottica riduzionista (le facoltà hanno sede nel cervello) che ha contribuito a notevoli successi quantitativi grazie anche alle recenti tecniche di imaging del cervello in attività.
L’ambito individuale dello studio della creatività si concentra quindi sulle capacità dell’atto creativo addebitabili a differenze individuali e che possano essere quindi affinate tramite una pratica e un’insegnamento.
Le teorie correnti per una neuropsicologia della creatività si basano in parte sul modello dell’information processing di Lindsay & Norman (1977).
Sarnoff Mednick pose l’accento sull’aspetto ricombinatorio: il cervello contiene informazioni memorizzate in forma discreta mentre appositi stati mentali potrebbero favorire associazioni nuove tra gli elementi esistenti. Per esempio chi pensa per immagini potrebbe notare elementi figurativi comuni in due esperienze che sono trascurati da chi pensa per parole. Mednick partiva da un interesse clinico nella schizofrenia ed era portato ad utilizzare moderne tecniche di indagine neuropsicologica.
Negli anni ’60 e ’70 Eugen Bleuler studiando la dementia praecox ne sottolineò quattro aspetti particolari:
allentamento delle associazioni mentali
anaffettività
ambivalenza
autismo
L’ipotesi naturale dopo Bleuler fu che la tendenza a formulare associazioni inusuali fosse alla base di questo disturbo, che egli battezzò schizofrenia.
Da altri era stato concluso che una tendenza alla iperinclusività degli elementi, sino alla produzione di collegamenti improbabili, era riportata anche in studi psicometrici condotti su individui creativi. Si poteva immaginare che uno stile pensiero schizofrenico senza l’angoscia e la destrutturazione della patologia corrispondente potesse essere alla base dell’atto creativo.
JL Karlsson nel 1978, nel suo Inheritance of creative intelligence (Nelson-Hall, Chicago, 1978), rilevò in Islanda una maggiore frequenza di alcune psicopatologie tra quanti venivano citati nel WHO’s WHO, a causa della loro creatività rispetto agli altri menzionati.
Albert Rothenberg fece in seguito riferimento alla presenza di un pensiero allusivo nei soggetti creativi capace di cogliere associazioni remote e infrequenti senza sentirsi disturbati dalla loro stranezza.
Sebbene si sia ipotizzato che a fronte di maggiori stimoli il creativo disponga di una maggiore fluidità o velocità di pensiero, niente in tal proposito è stato dimostrato. Molto più condiviso dai ricercatori è l’elemento della disinibizione nelle associazioni. Questa di pari passo espone il soggetto a varie forme di psicopatologia
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